In un contesto socio-politico-economico internazionale sempre più incerto, come quello che stiamo vivendo in questi ultimi anni,  le imprese faticano ad orientarsi e a prendere le decisioni che servono per migliorare, nei tempi utili.

Quello che si sta delineando sempre più, all’interno delle organizzazioni di imprese e società, è un management con meno riferimenti e certezze, che molto spesso fatica a  trovare la chiave per stare al passo con i continui e veloci cambiamenti del mercato e si trova disorientato nel guidare, profittevolmente, i propri collaboratori.

La buona notizia è che si può ri-creare una nuova identità manageriale in grado di saper governare, brillantemente, le aziende in questa impasse globale!

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REMINISCENZE MEDIEVALI

Molto spesso all’interno delle organizzazioni si sente commentare, magari al termine di una dura e complicata giornata di lavoro, frasi di questo tipo: ragazzi, facciamo gli scongiuri, ma oggi è andata proprio bene! Oppure: oggi non è proprio la giornata giusta, la sfortuna ci ha perseguitato. Se invece è andata molto bene si chiama in causa il miracolo o la magia.

In realtà l’uso di questi termini non è da considerarsi solo un modo simpatico di gestire la quotidianità o uno stratagemma per smorzare i toni e anestetizzare le ferite, come se le giornate di lavoro fossero battaglie e i dipendenti fossero alla stregua di soldati medievali, sempre pronti a difendersi e con un nemico da combattere e annientare. A volte si ha la netta sensazione che le persone ci credano sul serio, per lo più a livello non cosciente (reminiscenze per l’appunto).

Se aggiungiamo a tutto questo i problemi del mercato odierno che è in profonda  crisi, la concorrenza che, per effetto della globalizzazione, è sempre più agguerrita, la crisi politica, il tasso di disoccupazione ai massimi storici, la scarsissima disponibilità da parte delle Banche nell’erogare denaro, la gestione delle aziende è sempre più un’impresa piuttosto ardua.

Ci sono sempre meno certezze e il livello di difficoltà nella gestione, rispetto alla situazione ante crisi, è nettamente aumentato. La domanda è: come uscire da questo stato di cose? A parte il voler ricorrere alla magia, c’è qualcosa di concreto che possiamo pensare di fare e con una certa urgenza? La risposta è si, senza dubbio.

reminescenze

 

CAMBIARE I SIGNIFICATI PER TRASFORMARE I RISULTATI

Partiamo dai problemi: che cosa sono in realtà i problemi? Cosa rappresentano per la maggior parte delle persone? Il problema è un evento, una situazione nuova, improvvisa o già accaduta altre volte in passato. In realtà, in origine il problema non è ancora “un problema”. È il nostro modo di interpretare l’evento che gli attribuisce il “significato di problema”.

I meccanismi che ho avuto l’opportunità di osservare all’interno delle organizzazioni sono molto simili tra loro. Sovente le persone sono fermamente convinte che, dietro un problema, si nasconda necessariamente un colpevole, prendendo raramente in considerazione l’ipotesi che possa essere qualcos’altro. È anche vero il contrario: la convinzione che dietro un evento si nasconda un colpevole fa si che l’evento venga classificato dunque come problema.

C’è quindi qualcuno che si è distratto, qualcuno che ha svolto i suoi compiti con leggerezza, che non è all’altezza, che rema contro, che non è adeguato a ricoprire un certo ruolo. La dinamica del colpevole è la seguente:

  1. Si verifica un evento
  2. L’evento viene classificato come problema
  3. Il significato associato all’evento-problema genera ansia
  4. L’ansia genera stress
  5. Lo stress produce rabbia e nervosismo
  6. Individuato il colpevole gli si attribuiscono le colpe
  7. Nonostante si sia individuato il colpevole, la rabbia e il senso di disagio non cessano
  8. Nell’ambiente si produce timore, si trasferisce l’ansia, si crea malessere
  9. Il malessere produce sconforto
  10. Si perde lucidità e, oltre ad allontanarsi dalla risoluzione dell’evento, si abbassano le difese immunitarie e si può cadere vittime di mal di testa, tachicardia, asma e quant’altro, finendo poi con l’ammalarsi.

Succede talmente spesso che a volte mi capita di avere la sensazione di vivere dei “deja vu”.

Qualche anno fa, fui chiamato con una certa urgenza dal responsabile del personale di un’azienda per la quale svolgevo l’attività di consulenza Lean. In uno dei due cantieri pilota che erano stati attivati, una pressa ad iniezione aveva preso fuoco. Erano nel panico più totale. Quella pressa rappresentava la loro sfida. All’inizio, prima del cantiere Lean, era un disastro. Quando era diventata una “bomboniera” e l’efficienza era schizzata in alto, aveva preso fuoco! Ricordo che andai lì di mattina intorno alle undici ed incontrai il capo reparto con le lacrime agli occhi. Passai circa due ore con lui e i suoi collaboratori per cercare di comprendere cosa fosse accaduto. Dopo pranzo fui invitato alla riunione straordinaria, indetta dal direttore di stabilimento. C’erano quasi tutte le funzioni rappresentate: responsabile di sicurezza, sindacalisti, personale, manutenzione, capo reparto ecc. Il direttore di stabilimento esordì così: dai su ragazzi, sappiamo che questa pressa si incendia almeno due volte l’anno. Siamo ad aprile, si è incendiata per la prima volta ma, in fondo, non è accaduto nulla di così grave, per fortuna! Trascorsero due ore da panico. Il problema, secondo tutti loro, era che gli operai non avevano indossato i DPI (dispositivi di protezione individuale) per spegnere l’incendio. Alla fine la decisione fu di avvicinare a cinque metri dalla pressa l’armadio dei DPI che prima era posto a circa 50 metri. Tutti soddisfatti dal buon esito della riunione mi chiesero di raccontare cosa avevamo visto in reparto. Il mio discorso durò 2 minuti circa.

Presentai una slide che mettemmo a punto con il team leader di progetto. La slide era animata da tre fotografie. Nella prima si vedeva un tirante che si è rotto. Questo tirante reggeva una scodella con dentro l’alluminio fuso. Nella seconda e nella terza foto si vedevano la scodella inclinata da cui era fuoriuscito l’alluminio che, incontrando dell’olio alla base della macchina, aveva prodotto una scintilla e poi una fiamma. La fiamma, alimentata dall’ossigeno contenuto nell’impianto di aspirazione fumi aveva alimentato le fiamme e l’incendio si era propagato velocemente a tutto l’impianto. Quel tirante costava all’epoca 12,36 €. Lo avevano cambiato sette volte in un anno. L’ultima volta, quella prima dell’incendio, a febbraio.

Nelle due ore trascorse in reparto con il responsabile, abbiamo contattato un’azienda poco distante dallo stabilimento  che costruiva sistemi di alimentazione per presse. Erano venuti prima del pranzo a fare un sopralluogo ed avevano detto di aver già risolto problemi analoghi presso altre aziende. Dovevano cambiare il sistema di alimentazione in modo da non sollecitare più il tirante a taglio ed avrebbero anche cambiato il materiale con cui era costruito il tirante. Al termine del mio discorso ci fu il silenzio più totale.

Cosa c’è di diverso in questi due significati attribuiti allo stesso evento? Sono passati circa otto anni dall’accaduto. Ovviamente, dopo la modifica la pressa non si è più incendiata. La ricerca del colpevole (significato) non avrebbe mai potuto produrre la risoluzione definitiva del problema. Cercare di comprendere cosa è successo, fare domande, per poi porvi rimedio, magari costa più fatica perché bisogna andare in fabbrica, sul genba (termine giapponese che significa “luogo dove accadono le cose”), dove c’è rumore, caldo, cattivi odori e quant’altro, però ha molte più probabilità di successo.

Di esempi come questo ce ne sarebbero una valanga. Tutti diversi come tipologia di problema ma accomunati dallo stesso significato/meccanismo.

Il meccanismo che li produce può essere rappresentato dallo schema seguente:

evento significato

Quando si verifica un evento e a questo si attribuisce il significato di “problema”, se si è convinti che il solo meccanismo (schema mentale o paradigma) che può garantire la rimozione definitiva del problema sia l’identificazione del colpevole (significato), le re-azioni che si mettono in atto (comportamenti) sono di giudizio, di biasimo nei confronti di colui o coloro che sono più prossimi all’evento accaduto o sono l’anello più debole del sistema.

Quello che si produce di conseguenza, nella maggior parte dei casi (risultato) è:

  • Senso di insicurezza e insoddisfazione
  • Le persone si recano al lavoro contro voglia e sorridono sempre meno
  • Aumenta l’assenteismo
  • Il timore e l’ansia fanno aumentare gli errori
  • Si fatica a comunicare, a comprendersi, a collaborare
  • Le informazioni importanti e la conoscenza si diffondono sempre meno
  • Il clima diventa teso
  • Le persone faticano a crescere
  • Si creano muri e barriere
  • Si preferisce isolarsi e lavorare per conto proprio
  • I responsabili faticano a gestire le situazioni
  • I problemi si rafforzano e aumentano
  • I tempi di risposta si dilatano sempre più
  • Gli indicatori di prestazione peggiorano
  • Si perde competitività
  • Ecc.  

I problemi, dunque, sono in origine semplicemente degli eventi a cui è stato attribuito quel significato.

L’evento è un fattore “esterno” che può generare nella realtà un’anomalia, un malfunzionamento.

Ad esempio un problema di qualità, di prodotto o di servizio, un impianto importante che si guasta, un pezzo di ricambio che manca a magazzino, un documento che si perde, una persona che si infortuna e via discorrendo.

Il processo “interno”, ovvero il sistema di interpretazione messo in atto dall’uomo per decodificare l’accaduto e comprendere cosa è successo, per poi intervenire ed eliminare l’eventuale anomalia, comincia dal significato che viene attribuito ad ogni singolo evento. Molto spesso i significati che diamo alle cose sono innati, oppure derivati e acquisiti dall’ambiente in cui viviamo, dal sistema di abitudini trasmesso nel corso del tempo, da coloro che ci hanno preceduto, che ci circondano, con cui collaboriamo all’interno di un’organizzazione.

Con il passare degli anni l’organizzazione consolida i propri significati/paradigmi, ovvero i propri sistemi di interpretazione degli eventi, in modo per così dire “meccanico”. Si crea una sorta di automatismo intellettivo.

Il cervello memorizza quel modo di pensare che nel tempo acquisisce “senso”. Reiterando il medesimo meccanismo in presenza dello stesso evento, corroborato dal sistema che ci circonda, il senso diviene “buon senso”. Taiichi Ohno, nel suo libo “Lo spirito Toyota” ebbe a dire che il buon senso è sempre sbagliato, intendendo dire con ciò che i significati che si danno alle cose hanno senso solo all’interno del proprio sistema di paradigmi o schemi di pensiero, che traducono la realtà osservata. L’esempio di Ohno era riferito alle scelte manageriali che si operano all’interno del sistema industriale organizzato per “mass production”, a proposito delle scorte.

Il paradigma della mass production porta a generare le scorte.

Le scorte danno sicurezza (significato). L’uso delle scorte viene giustificato con il fatto che non si vuole fare attendere i clienti. In realtà, oltre questo, si bypassano  i problemi, i difetti, le anomalie degli impianti. Se ci sono sufficienti scorte, posso sopperire ai fermi produttivi attingendo da questi “polmoni” il quantitativo di prodotti da lavorare, senza fermare il resto della produzione.

Secondo il paradigma della Lean Production, invece, riempire le fabbriche dei cosiddetti polmoni equivale a nascondere i problemi o accettarli come inevitabili, anziché aggredirli per poi eliminarli, definitivamente. Come si può notare, quello che può avere senso da un certo punto di vista, può non averlo per niente visto da un altro punto di osservazione.

Così, allo stesso modo, i problemi per qualcuno possono essere fonte di stress e di malessere, per altri delle meravigliose opportunità di miglioramento!

I comportamenti che vengono adottati a fronte di un evento, sono la diretta conseguenza dei significati che attribuiamo all’evento stesso. Ogni significato produce il suo modulo comportamentale. Praticamente, il nostro cervello, al ripetersi dello stesso evento, dopo averne “filtrato” il senso ed operato il riconoscimento attraverso il significato (o paradigma) ad esso associato, ci ri-propone gli stessi atteggiamenti e comportamenti da adottare, ovvero gli stessi delle volte precedenti.

Se ad esempio sono convinto che i miei collaboratori non sono professionali (significato), cercherò di controllare in maniera minuziosa l’operato di tutti (comportamento) e non riuscirò a portare a termine il mio lavoro, producendo in me malessere, insoddisfazione, senso di impotenza e via discorrendo (risultato).

Se sono convinto che sia inevitabile che gli impianti si guastino (significato), nel caso in cui fossi il responsabile della produzione spingerò affinché si produca il più possibile (comportamento), mentre gli impianti, per fortuna, stanno funzionando!

Se penso che tra tutti i miei collaboratori ce ne sia uno speciale mentre tutti gli altri sono solo dei meri esecutori, peraltro inaffidabili, cercherò di affidare compiti delicati e importanti solo a quell’uno, alimentando ulteriormente il divario con gli altri. Il risultato è che si creeranno inimicizie e che le persone avranno meno possibilità di crescere e più probabilità di sbagliare.

Molto spesso accade che le nostre soluzioni, frutto di interpretazioni poco o per nulla funzionali, rafforzino ancor di più i problemi, anziché risolverli.

Quando non siamo soddisfatti dei risultati, quando percepiamo che qualcosa non va, che “non funziona”, cerchiamo di cambiare i nostri comportamenti. In realtà, non sono i nostri comportamenti che dovremmo cambiare, ma i nostri significati! La sfera dei comportamenti è ingannevole. Se oggi credo di essermi comportato bene, di non aver offeso nessuno, di non aver inveito contro un mio collaboratore, un collega, un superiore, la moglie, il marito, i figli, un automobilista che non mi ha dato la precedenza, allora mi sento a posto. Se il giorno dopo perdo però la pazienza e parto all’attacco re-agendo ad un evento nel solito modo, se penso che il mio comportamento non sia stato adeguato, allora subentrano i sensi di colpa.

Sostanzialmente, se vogliamo cambiare i risultati all’interno delle nostre organizzazioni, nella nostra azienda, nel nostro ufficio, dobbiamo cambiare i significati, non i comportamenti.

I comportamenti sono frutto dei significati.

Se il mio modo di ragionare è complesso e contorto e mi allontana dalla soluzione del problema o addirittura lo amplifica, è muda! Se dopo aver provato delle soluzioni risolvo un problema, bene, vuol dire che si è trovato il modo di farlo funzionare. Se non funziona bisogna cambiare. È molto semplice. Cambiare, molto spesso, potrebbe voler dire fare esattamente il contrario di quello che si è fatto sino a quel momento.

A cambiare, per primi, dobbiamo però essere noi, noi che ricopriamo  ruoli di responsabilità.

Se continuiamo a pensare che chi deve cambiare siano solo gli altri, allora non cambierà mai nulla. Se noi cambiamo approccio, modo di pensare, cambiamo le nostre domande, allora tutto intorno a noi, inevitabilmente, cambierà.

Albert Einstein diceva: non si può risolvere un problema con la stessa mentalità (significato-comportamento) che l’ha generato.

La “notizia bomba” racchiusa nel precedente schema è la seguente: non sono gli eventi esterni a produrre benessere o malessere, nella nostra vita, all’interno della nostra azienda o nel nostro ufficio, ma i significati che ciascuno dà agli eventi.

Quindi, cambiando i significati, possiamo scegliere di voler sempre produrre, per noi e per la nostra azienda, benessere!

Nella seconda parte vedremo come si può attuare tutto questo.

Giorgio Di Mauro